Al Museo Campioni Rossoblu anni '80: "Caro Genoa, come si può non amarti?"

25.01.2020 01:07 di  Pierluigi Gambino   vedi letture

“Cos'ha fatto il Genoa?”. E' questo il simpatico titolo di una chat che accomuna i giocatori rossoblù di un tempo ormai lontano. I loro nomi? Jan Peters, René Vandereycken, Claudio Onofri, Vincenzo Romano, Mimmo Gentile e atri quattro Over 60 che ieri sera, nel salone del Museo del Genoa, si sono raccontati davanti ad una platea scelta di innamorati del Grifo: Claudio Onofri, Massimo Briaschi, Silvano Martina, Claudio Testoni, Il loro era un Genoa operaio, in continua altalena tra la serie A e qualche discesa agli inferi: una squadra accompagnata però dal fervido sostegno di una tifoseria oceanica.

Era il Genoa di Renzo Fossati, il più longevo tra i dirigenti genoani: personaggio discusso, spesso contestato, ma pazzo del Genoa. Gianni, il più sportivo della sua folta figliolanza, affiancato dai fratelli Gloria e Massimo, ha ritmato questo gradevolissimo excursus con aneddoti indimenticabili. “Ricordo quando papà, qualche ora prima di una sfida casalinga con la Juventus, pregò il custode dello stadio di bagnare non il terreno di gioco bensì i gradoni dei distinti. Dietro mia insistenza, nel viaggio verso il Ferraris, mi spiegò il suo progetto: se gli spettatori sono costretti a restare in piedi per non bagnarsi, occupano meno spazio e si possono vendere più biglietti. Quando c'erano le partitissime o i derby casalinghi, capitava che i presenti sugli spalti fossero qualche migliaio in più della capienza massima, così da fare un incasso ancor più alto”.

Onofri ricorda il deby del marzo 1984, con 58815 spettatori ufficiali. “Ce la mettemmo tutta per contrastare la Samp di Trevor Francis. Finì 0-0. L'arbitro Agnolin annullò ai blucerchiati due gol validi, ma ci meritammo quel pari perl'impegno profuso”.

In quegli anni il Grifo si basàva in attacco sulle prodezze di un vicentino, Massimo Braschi, che era giunto a novembre senza un nobile pedigrée: “Conservo ricordi meravigliosi di quel periodo – confessa – Fui accolto magnifiamente dai compagni pur provenendo dalla C. Segnai parecchio (29 gol n.d.r.), ma ricordo con particolare piacere la doppietta in stracittadina: due reti di testa che ci permisero di non perdere. Tornai a Genova dopo l'esperienza juventina, ritrovai il mio allenatore preferito, Gigi Simoni, ma non andrò benissimo”.

Nel momento clou dell'esperienza iniziale, Briaschi divenne un uomo mercato. “Rammento che ad Ischia, in piena estate, mi incontrai con Chinaglia, allora plenipotenziario della Lazio per discutere il mio trasferimento, ma l'affare sfumò”. Lo voleva il Toro di Moggi, che venne a Genova per trattare con Fossati, il quale si mise in contratto pure col presidente juventino Boniperti. Gli riuscì il gioco al rialzo, che gli fruttò ben tre miliardi e mezzo: una cifra enorme, per quei tempi”.

Quel Genoa di inizio Anni '80 era fedele interprete di un calcio lontano anni luce da quello attuale. Onofri, il capitano di allora, saltò per esempio la gara d'esordio del campionato 83-84 perché... in castigo. “Andai in sede, bisticciai per ragioni contrattuali col presidente e feci volare un sacco di fogli dalla scrivania, per la rabbia. Fossati decise di spedirmi fuori rosa e mister Simoni si assoggettò. Persi 8 gare e poi rientrai, prima del tempo, perché la squadra stava andando male. Infatti finimmo in serie B. Fu l'anno in cui, nel finale, l'esordiente Bosetti segnà il gol della vittoria contro la Juve e per la gioia andò ad appendersi alla grata della Nord. Come capitano corsi da lui e gli dissi di tutto: non c'era nulla da gioire poiché stavamo per retrocedere”.

Testoni è un emiliano schietto e cordiale. Lo chiamavano Ruspa per la sua abitudine ad arare il campo con quelli piedi che parevano cingoli. “Chiaro, fui apprezzato per l'agonismo più che per le doti tecniche, anche se non venni mai espulso. Grintoso sì, ma mai cattivo. Un giorno, a Napoli dovetti marcare Damiani, il quale ad un certo momento, avvicinandosi alla sua panchina, mi chiese: sto andando a bere, mi segui anche lì?Tempo fa, telefonai a mister Simoni, quando le sue condizioni di salute erano ancora normali, e per scherzare gli dissi, per farmi riconoscere, che dopo Ronaldo ero stato il più grande giocatore da lui allenato. E Gigi, dopo un attimo di titubanza, mi disse: ti ricordi ancora di Zico...?”. Già, il brasiliano dell'Udinese, all'esordio stagionale, trionfò 5-0 con la sua Udinese a Marassi, e anche Testoni patì una giornataccia. La  omenica Spotiva, nella sigla, trasmise ogni settimana le prodezze del fuoriclasse sudamericano contro il povero Ruspa. “Sapeste gli amici quanto mi presero in giro...”.

Sempre contro l'Udinese, nel l'82, il Grifo uscì sconfitto 3-2 a Marassi. “Ma quel pubblico meravigloso – racconta Onofri – ci chiamò sotto l gradinata e ci applaudì venti minuti perché aveva capito il nostro sforzo sotto una pioggia incessante”.

Già, come non innamorarsi di un pubblico così caldo ed appassionato? Testoni vanta 183 gettoni di presenza in maglia rossoblù, collezionati dall'80 all'86. “A Genova – confessa – ho trascorso i migliori anni della carriera, a Recco è nato mio figlio. Qui sono stato felice e debbo dar ragione a mister Simoni, che appena mi conobbe mi disse: Capirai dove hai giocato quando te ne andrai. A Genova mi ringraziano ancora dopo 30 anni, sapeste che gioia poter essere per una sera qui con voi”.

Proprio il terzino modenese rivela un aneddoto curioso: “Fossati, quando arrivai, dapprima mi pagò l'ingaggio e poi mi vendette, grazie alla sua concessionaria, un'auto e una moto. In pratica si riprese i soldi tirati fuori...”.

Una fonte insauriile di storie di calcio, il buon Ruspa. “Appena giunsi in rossoblù, mi ruppi. Nela insistette per giocare una partitella in famiglia, mi montò involontariamente su un piede rompendomi il mignolo”. Testoni, a fine carriera, ha indossato i panni della chioccia a favore di un altro difensore che sarebbe diventato una “bandiera” el Grifo: Vincenzo Torrente.

In quegli anni di passione e sofferenza, una data sarà scritta con inchiostro indelebile nella memoria di migliaia di genoani: 16 maggio 1982. Il Genoa doveva fare risu,ltato al San Paolo per evitare la retrocessione a spese di un Milan poverello, che a Cesena, tuttavia,passò dallo 0-2 al 3-2. Ad un minuto dal termine, il miracolo, che persino i sostenitori del Ciuccio accolsero con sollievo. Mario Faccenda, oggi osservatore del Sasssuolo, firmò quella salvezza così clamorosa. “Ho ricordi scarni – è la sua testimonanza in diretta telefonica – perchè dopo il gol non capii più nlla. So che ci fu un cross dalla destra, Russo fece sponda di testa e io, sul secondo palo, infilai la rete del 2-2. Fu un risultato fondamentale per ciascuno di noi, per la squadra, per i tifosi”.

Quel giorno, Onofri era squalificato e seguì la partita , trasmessa via radio, in casa di Gianni Fossati. “Al gol di Mario – confessa – ci alzammo di scatto dal sofà assestandoci reciprocamente una violenta testata. Finimmo entrambi all'ospedale...”.

Faccenda era un jolly impagabile. “A me interessava solo avere addosso una maglia dal 2 all'11. Simoni mi impiegò ovunque, tanto che non vestii unicamente la casacca del portiere...”.

Da Faccenda a Silvano Martina, che prima dell'avvento di Perin era considerato il miglior portiere genoano degli ultimi decenni. La sua prima annata da titolare, conclusa con la risalita in A, non fu eccezionale, ma nel secondo precampionato, in Coppa Italia, salvò il risultato in un derby con un portentoso intervento su tiro di Vierchowod. “Quel giorno mi conquistai la fiducia dei tifosi, che mi sarebbero stati vicini sino al termine della mia esperienza genovese”.

Un fattaccio lo vide protagonista: quell'impatto tremendo con il capitano viola Antognoni, che rimase esanime sul terreno del Franchi, facendo temere il peggio. “Mi hanno pure condotto in tribunale per quella mia uscita – rievoca il portiere – ma fortuntamente fui assolto. Tra i testimoni, l'arbitro del match, Casarin, che dichiarò come nella mia uscita non ci fossero né dolo né pericolosità. Dopo qualche mese Antognoni tornò in campo, Siamo andati anche a cena assieme, senza alcun strascico per quell'epsodio. Potrei dire, a mo' di battuta, che con quel colpo lo migliorai, visto che Antognoni riuscì a disputare i successi Mondiali con la maglia azzurra...”.

Silvano era un pararigori provetto. “Ma non ho mai studiato gli avversari. Sceglievo sempre una parte e semmai cercavo di condizionare il tiratore. Se la conclusione era mezza altezza...”.

Tumultoso fu il suo divorzio dal Grifo. “Guadagnavo 32 milioi all'anno, meno di tutti in serie A, e la Lazio iniziò ad offrirmene 100 per 5 anni, ma io, per accettare di lasciare Genova, pretendevo una squadra più forte. Presi tempo e un bel giorno Luciano Moggi, per conto del Toro, mi propose la bellezza un miliardo complessivo per tre anni: una cifra pazzesca”.

Fossati venne a saperlo, chiamò per il rinnovo il numero uno in sede, convocando un gruppo di giornaisti nella stanza accanto. Ad un certo punto, aprì la porta del suo uffico e spinse fuori Martina urlando davanti ai cronisti: “Ora dillo a tutti che hai già firmato per il Torino!”. Il giocatore si limitò a rispondere polemico: “Caro presidente, almeno si ricordi di comprare qualche pallone nuovo, invece di strofinare con il limone quelli vecchi per usarli ancora...”.

Il patron genoano era un tipo vulcanico. Il figlio Gianni non lo nega. “Probabilmente, voleva più bene a molti suoi giocatori che a noi. Li proteggeva, li difendeva, si assumeva ogni resposabilità. In certe domeniche sere, dopo una gara persa, venivano in duemila presso la nostra villa a Nervi per insultare papà, il quale si limitava a urlare da dentro: Se non ve ne andate, libero i cani. Lui non ha mai rinunciato al proprio ruolo, neppure nei momenti peggiori ha saltato una partita, anche quando in migliaia volevano divellere le grate divisorie del Ferraris per raggiungerlo in tribuna. Un presidente non deve mai mancare allo stadio: deve prendere gli elogi se la squadra va bene e gli insulti se va male”. Una chiara allusione indiretta all'attuale reggente, che da tempo immemore non si fa vedere a Marassi temendo la contestazione.

Claudio Onofri, un altro idolo della Nord, è un bogliaschino di adozione da quarant'anni e un assiduo frequentatore del Ferraris. Il suo amore per il Genoa ha un'origine sociale. “Giocavo nelle giovanili del Vanchiglia, a Torino, e frequentavo ragioneria. La professoressa di stenografia, durante i compiti in classe, mi accoglieva al suo fianco e insieme si leggeva Tuttosport. Era tifosa del Toro e organizzò una gita culturale a Genova, dove, come primo monumento, ci portò davanti al Ferraris e indicò a tutti:vedete, questo è il campo del Genoa. Crebbi con il mito del club più antico d'Italia e quando, giocatore dell'Avellino, seppi che la società rossoblù mi stava inseguendo, feci salti di gioia. A dire il vero, mi voleva anche la Sampdoria, ma la mia scelta di campo fu immediata. Quando finii al Toro, avevo già capito che a Genova sarei tornato, e non per qualche anno ma per sempre. Così, quando i  dirigenti granata i comunicarono l'intenzione di cedermi, non esitai a rientrare in Liguria. Il Genoa era n B, ma a me non fregava nulla”.

Onofri fu anche compagno di un certo Roberto Pruzzo, tra i bomber più prolifici della storia genoana. Ecco Gianni Fossati decsrivere il suo approccio al Grifo. “Mio padre frequentava i Bagni Sette Nasi e, non trovando sempre posto per l'auto, la affidava spesso al benzinaio più vicino, il quale un giorno gli raccomandò di provare un suo giovane cugino. Papà spedì il ragazzo a Sant'Olcese e lo vece valutare da Lino Bomilauri, fantastico scopritore di talenti, il quale espresse subito parere positivo. Così Pruzzo diventò giocatore del Genoa non per un caffé ma per un posto auto...”

Nella lunga rievocazione trova spazio anche la trattativa tra Renzo Fossati e Aldo Spinell per la cessione delle azioni societarie. L'avvocato Andrea D'Angelo, presente al Museo, è stato testimone di quegli incontri da cappa e spada. “Erano discussioni divertenti e appassionanti, rigidamente in dialetto. I due personaggi, attentissimi alle questioni economiche, polemizzarono a lungo, anche dopo l'accordo, ma senza mai perdere la simpatia reciproca”.

La magnifica serata, intrisa di nostalgia e di orgoglio, si chiude con una risposta individuale degli ospiti su, tema del momento: cosa direste agli attuali atleti rossoblù per scuoterli in un momento così delicato?

“Io – afferma Testoni – appena un giocatore firma per il Genoa, ancor prima di presentarlo alla stampa, lo porterei due orette a visitare il Museo, perché si rendesse conto della storia del club e cercasse di continuarla con altri capitoli felici”.

Ed ecco Onofri: “Mostrerei le immagini di quel Genoa-Udinese pur perduto per farcapire che se tu dai tanto alla gente genoana ricevi in cambio il doppio di amore. Indossare quusta maglia, specie al giorno d'oggi, non è semplice, ma io ho incitato anche Mimmo Criscito, al quale voglio un sacco di bene, affinché prenda per man i compagni speingendoli a dare ancora di più”.

Briaschi sposta il discorso: “Deve giungerti naturale provare amore per questa maglia. Se entri in questo clima, riesci a dare il meglio, altrimenti è dura, in specie considerando che oggidì si resta in un club sei mesi, al massimo un anno”.

Martina è la sola voe fuori dal coro: “I: ragazzi di oggi non si impegnano meno rispetto a quelli dei tempi andati. Io resto convinto che se arriva un attaccante di valore, il Genoa saprà dimostrarsi sul campo più forte delle tre concorrenti dirette alla salvezza”.

                                 PIERLUIGI GAMBINO


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