Troppe parole sul tema allenatore. Della società le colpe più gravi

11.11.2018 11:45 di Franco Avanzini   vedi letture

Nella ripresa, mentre Ancelotti immette Mertens e Fabian Ruiz, inizialmente in panca, il suo collega Juric inserisce Omeonga e Mazzitelli. Ecco, in queste due modifiche alle rispettive formazioni si annida una chiave di lettura, forse la più plausibile, della vittoria napoletana a Marassi. Alla fine, si impone la squadra più forte, che lascia all'asciutto, dopo averlo illuso, un Genoa volitivo, a lungo concreto, schierato in campo secondo i canoni più adatti. Il Ciuccio non ha rubato nulla, ma il Grifo non avrebbe meritato un'altra beffa nei minuti finali, la seconda in una settimana.

Vagonate di jella si sono abbattute nuovamente sui rossoblù, pur conteggiando il palo timbrato dai partenopei sullo 0-0. E' una coltellata l'autogol di Biraschi, indotto da una spunta galeotta sulla quale il Var e l'arbitro di turno hanno bellamente sorvolato. L'ennesima decisione discussa di una ripresa che il signor Abisso ha interpretato a senso unico, come se improvvisamente il campo di Marassi si fosse inclinato dalla parte degli ospiti.

Si dirà: l'acquazzone che trasformato il terreno in un acquitrino avrebbe dovuto favorire la squadra che in quel momento era avanti nel punteggio: il Genoa. Alla prova dei fatti, occorre dar ragione a Juric: il Napoli non ha i muscoli e la fisicità di un'Inter o di una Juve, ma – affrancato dal timore di subire contropiedi letali condotti dall'irrefrenabile Kouamé - ha potuto guadagnare metri e schiacciare inesorabilmente i rossoblù sino a farli crollare.

In attesa di conoscere i suoi destini, che erano e restano in bilico, il tecnico croato va accreditato di una sfortuna indicibile, che lo ha risparmiato solo nella Torino bianconera. Certi risultati, maturati anche in circostanze rocambolesche, lo condannano al di là di un'espressione di gioco globale non così scadente: dal ciclo terribile si attendevano quattro sconfitte e il successo sull'Udinese ed invece sono giunti tre ko e due pareggi, per un bottino complessivo inferiore alle attese. La verità è che in quest'ultimo mese, dopo il clamoroso allontanamento di Ballardini (mai nessun tecnico di una provinciale aveva fatto le valigie con una squadra piazzata nei pressi della zona Uefa) e l'altrettanto discusso ritorno di Juric, si è discettato quasi esclusivamente di allenatori trascurando l'analisi di un organico piuttosto modesto a prescindere dalla guida tecnica. I critici ad oltranza di mister Ivan non smettono di ripetere che questo Genoa è più forte rispetto all'anno scorso. Tesi rispettabilissima, che si poggia sul una panchina teoricamente più lunga e, soprattutto, sui fondamentali inserimenti di due attaccanti del calibro di Kouamé e Piatek, neppur da paragonare con i loro precedessori.

Noi però ci permettiamo di dissentire, rimarcando in primis che Perin regalava in un campionato parecchi punti, mentre Radu e Marchetti ne hanno fatto perdere. Secondariamente, non va dimenticato che Spolli, almeno sino ad aprile, ha offerto prestazioni fantastiche apparendo um muro invalicabile e che adesso, con il suo declino, la tenuta complessiva della retroguardia – pur innervata da calciatori assai promettenti e da un pilastro come Criscito – è scesa. Ma è a centrocampo che si pagano lacune evidentissime. Come si può considerare rinforzato un settore che vanta due ex riserve come Lazovic e Bessa tra i titolari inamovibili e, come primo cambio del reparto, un Mazzitelli che non ha mai beccato una sufficienza? Non può bastare Romulo, anche col Napoli tra i più positivi, a riequilibrare le forze. 

Questo lungo preambolo ha solo uno intento: invitare il popolo rossoblù a non illudersi che basti cambiare un'altra volta guida tecnica per veder certe carenze dissolte d'acchito. Di sicuro con il gioco di Juric si rischia di perdere per strada Piatek (che ci sta mettendo del suo, sotto forma di crescente abulìa, in questa sua progressiva scomparsa) ma altre manchevolezze non sarebbe onesto attribuirgli. Con questa qualità di legna, è difficile produrre un fuoco più gradevole. E qui, per una logica estensione del discorso, si torna alle strategie societarie, ben più incidenti rispetto alle mosse dell'allenatore di turno.

PIERLUIGI GAMBINO

 


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