Veloso, una mazzata pazzesca. Ora servono 5 punti in 3 gare
Verso la mezz'ora al San Paolo non è cambiata solo la partita, ma – probabilmente – i destini futuri del Genoa. L'immagine di Veloso dolorante a terra è stata una coltellata tremenda per le speranze dei tifosi rossoblù. Un evento che basta ed avanza ad insinuare un sentimento sinora lontano dalla mente del popolo genoano: la paura.
Occorre ovviare per un altro mese e mezzo (ben che vada) all'assenza del genero d'arte che, come dimostrato nel girone di andata, non è in grado di fare la differenza in una squadra di vivide ambizioni, ma è determinante in questo Genoa che assomiglia sempre più ad una vecchia carretta immersa in un mare tempestoso, senza più i marinai più affidabili (licenziati da un armatore superficiale) e con un nocchiero incertissimo sul da farsi. Anche i suoi più aspri detrattori puntavano sul rientro in pianta stabile del portoghese per conferire un minimo di razionalità ad un centrocampo di sbandati. A chi se non a lui ci si aggrappava in vista del mini ciclo decisivo caratterizzato dagli impegni in sequenza contro Pescara, Bologna ed Empoli? Invece ci si dovrà arrangiare con quella miseria che passa il convento: due mezzali appena passabili come Cataldi e Hiljemark, un mediano come Cofie, in uggia a gran parte della tifoseria ed un atipico come Rigoni, ormai calatosi nei panni dell'incursore che agisce tra le linee. Il quinto uomo di centro, Nitcham, è una soluzione disperata che il mister terrà in ridottissima considerazione.
Sia come sia, il Grifo deve assolutissimamente tornare a compiere un pur minimo volo. Fuor di metafora, per allontanare gli spettri maligni servirebbero almeno quattro-cinque punti nei prossimi 270 minuti. Certo, se non si riuscisse a battere l'ultima della classe o l'altra formazione palesemente in crisi (quella petroniana, ovvio), verrebbe da chiedersi dove si andrebbero a prelevare, successivamente, i punti mancanti per la salvezza. Un interrogativo inquietante proprio perché emerso inaspettatamente, dopo tre mesi di campionato in cui si è cullata la legittima aspirazione ad un piazzamento nella colonna a sinistra della classifica.
Gli infortuni occorsi a Veloso e Gentiletti sono la conferma ennesima che la jella ha... dodici diottrie, ma da sempre, nel calcio, quando sei nelle canne ti trovi anche vessato dal destino. Ci sta di piangersi addosso un attimo, ma senza nascondere le proprie responsabilità. Resta assurda, infatti, la prospettiva di affrontare mezzo campionato con un solo “regista” (il sunnominato Veloso) e senza un simulacro di mediano, razza estinta almeno agli occhi dei mercatari rossoblù.
A Napoli il Genoa ha offerto mezz'oretta dignitosa di resistenza passiva, ma poi si è andato progressivamente sfarinando. Per l'ennesima volta, si è assistito ad una squadra a doppio volto: nella ripresa, complici anche i due gol dei locali, il Genoa è sparito dall'agone, consegnandosi ad una resa ineluttabile. Per carità, contro il meccanismo perfettamente oleato della macchina sarriana si era già preparati al peggio, ma la mancata reazione dopo il primo gol ha messo a nudo anche i limiti caratteriali di un team che non si raccapezza più. Senza contare che il crollo verticale di Burdisso (e di qualche suo compagno di reparto) dopo l'intervallo ripropone il tema di una preparazione atletica non propriamente ottimale.
Ormai un tifoso su due chiede la testa di Juric. Reazione emotiva derivante dal momentaccio, ma non del tutto campata in aria. Se è vero che il valore contingente di un allenatore si misura alle prime avversità, è indubbio che il croato – al debutto in serie A, non dimentichiamolo – non stia superando l'esame finestra. Magari, tra un lustro parleremo di Ivan come di un tecnico pronto per i palcoscenici più prestigiosi, ma adesso la sua immaturità è patente. Bene fa Preziosi a concedergli un'altra chance, nella speranza che il Pescara, cuscinetto comodo sul quale si sono accomodate rivali di ogni fatta, consenta al Grifone di risorgere. Guai, però, se non tenesse calda una soluzione alternativa plausibile. Inutile suggerire dei nomi, ma – da che calcio è calcio – per uscire dall'impasse occorre un panchinante navigato, attento, proteso a fare le cose più semplici e naturali (anche in fatto di moduli tattici) e, soprattutto, capace di sprigionare carisma, tranquillità e fiducia in un ambiente scosso da una situazione per nulla preventivata.
PIERLUIGI GAMBINO
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