Dal libro: "Una vita da genoano"

13.10.2016 09:50 di Luca Canfora   vedi letture

Dal romanzo “Una vita da genoano”, di Luca Canfora:

“… ricordo il profumo del prato… la gioia di essere lì…
… mio padre… i miei sogni…”

Avevo quasi dodici anni. Ricordo il solito profumo di caffellatte che mi arrivava dalla cucina, il primo sole che filtrava attraverso le fessure delle persiane, e quella sensazione di festa e di serenità, così rassicurante, della domenica mattina. A distanza di sei anni dal provino sostenuto nei pulcini del Genoa Cricket & Football Club, dopo anni di allenamenti e partite sui campi in terra battuta della mia Genova, era arrivato il momento di poggiare le mie scarpette e la mia divisa da grifoncino purosangue sull’erba del… campo in erba. Il… campo in erba. Insomma, io, proprio io, genoano, io che mi allenavo tre volte la settimana vestito di rossoblu; io che la domenica mattina giocavo la mia partita vestito di rossoblu; io che la domenica pomeriggio andavo con mio papà a vedere il Genoa ricoperto di rossoblu; insomma, proprio io stavo per fare il mio esordio nel tempio dei “grandi”, cioè di quegli esseri “perfetti” che vivevano nel mio album di figurine. Avrei giocato al Luigi Ferraris! Partita organizzata tra formazioni appartenenti al settore giovanile del Genoa per promuovere il Genoa calcio e, forse, per regalarci quelli che per molti di noi sarebbero rimasti gli “unici” minuti di “gloria” della nostra vita.

 

Giocheremo alle ore 13, un paio d’ore prima della partita Genoa-Juventus del campionato 1981/82 di serie A. Non solo avrei giocato sul campo in erba, ma lo avrei fatto in uno stadio probabilmente già pieno in attesa dei nostri eroi, che probabilmente avrei guardato da vicino giù negli spogliatoi, prima… o dopo… o prima e dopo la nostra partita. E poi, ovviamente, Genoa-Juventus... i grandi... da dentro il campo... forse... chissà. Non ci dormii quella notte.
Il cuore batteva forte, adesso, più forte di quanto avessi mai sentito prima. Arrivammo tutti alla spicciolata nei pressi di Corso De Stefanis, dopodiché ci guidarono negli spogliatoi, in un silenzio magico. Scendevo giù per le scalette e mi guardavo intorno come se stessi scendendo nelle viscere della piramide di Cheope anziché che negli spogliatoi del Ferraris. Ormai non era possibile distinguere una pulsazione da quella successiva... ero giunto all’ingresso dello spogliatoio. Ora i ricordi si fanno più vivi. Intorno confusione, voci, suoni, tacchetti di metallo sul cemento, profumo di magliette. Ecco la mia divisa; comincio a vestirmi, immaginando qualche metro più in là, dietro uno di quei muri, Martina, Gorin, Testoni, Briaschi, Cabrini, Zoff, fare le stesse cose che sto facendo io… mi tremano le mani. Parastinchi, cavigliere, calzettoni, poi i calzoncini, le scarpe, la maglia… Mi guardo nello specchio dello spogliatoio. Noi abbiamo la divisa da trasferta, quella bianca con le bande rossoblù orizzontali al centro, noi siamo i più piccoli. I giocatori dell’altra giovanile del Genoa, contro cui giocheremo, sono più grandi di un anno e hanno la divisa a quarti rossoblu. Siamo tutti bellissimi. Esco nei corridoi a fare qualche esercizio di rito con gli altri, il riscaldamento. La partita durerà due tempi da venti minuti ciascuno. Che emozione! Cerco con lo sguardo i miei “eroi” e finalmente, dopo qualche minuto, comincio a vederne qualcuno… Eccoli! Sì, eccoli! Ecco... Cabrini in tuta che passeggia e chiacchiera con qualcuno... eccone altri... non li ricordo tutti... Zoff!... I nostri!... Onofri... Manfrin... e poi Briaschi... Vandereycken... Sala... Boito... e… Gorin!
Gorin.

Gorin.

Gorin... Anche io gioco come terzino destro... ho il due sulla schiena anche oggi. Vorrei avvicinarmi... ma ho vergogna... e poi devo giocare anche io... mi chiamano... è arrivato l’arbitro... c’è l’appello... devo andare.
Inizia la partita. Si sale, l’ingresso è quello sul lato opposto alla gradinata Nord (eh...) nel “vecchio” Luigi Ferraris. Si sale. Si sale. È una salita infinita. Salgo. E salgo. Il vociare della gente comincia a farsi più forte. Copre il rumore del mio cuore. Le gambe non mi tengono più tanto bene. Sento la gradinata Nord. Vedo uno scorcio di cielo, stiamo arrivando. La Nord si sente ancora più forte. Ecco la luce. Ecco il cielo. Ecco l’erba. Entro. Il boato della gente. Applausi ai “grifoncini”. Applausi per tutti. Corro da qualche parte, ma non lo so dove sto correndo. Corro verso la Nord. La Nord ha voce, bandiere, sciarpe, coriandoli. Sento l’erba sotto di me, ma io sono "altrove" e continuo a correre, e a guardarmi intorno. È incredibile il profumo che c’è qui sotto! Forse pensavo che anche il campo, come i miei eroi, fosse una figurina... un disegno. Che profumo, che profumo! Siamo nel pieno centro della città ma sembra di stare in campagna, sono frastornato... è un prato meraviglioso... e corro... corro... tutto intorno è festa... io guardo la Nord... e cerco papà e mamma… nei Distinti. Come sembra tutto diverso da qui! Corro... corro... il tempo è fermo... mentre io corro... è il mio momento... ma tremano le gambe... guardo verso i Distinti... ancora... li cerco... ma è impossibile trovarli... li cerco... mi sento perduto qui sotto... mi tremano le gambe.

Inizia la partita. Ho il numero due sulla schiena.
Il numero di Fabrizio Gorin.
Gioco spalle alla Nord.
Mi passano il primo pallone... e…

Forza Genoa.

   Luca Canfora


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