Mi manca l'aria

09.12.2019 15:42 di  Luca Canfora   vedi letture

Ci sono due motivi per cui a volte ho paura di dire quello che sento veramente: il primo è quello di risultare patetico, il secondo è quello di mettere in imbarazzo gli altri. 

Per quanto riguarda il primo motivo non è una questione di immagine. Ma ci tengo ad esprimere quello che provo in modo equilibrato, sereno, adulto. Il punto è che raramente sono sereno, equilibrato ed adulto. Ci provo, per motivi anagrafici, ma faccio fatica, per motivi filosofici.

Per quanto riguarda il secondo motivo mi rendo conto, per la mia storia personale, di non avere più molti filtri, di non provare imbarazzo nel dire cose che imbarazzerebbero la maggior parte delle persone, di non avere più paura di mostrare punti deboli, limiti, difetti. E' passato il tempo in cui non piacermi era difficile, oggi vivo il tempo in cui non piacermi è ironica rassegnazione.

Viviamo nel mondo della comunicazione a 360 gradi, 3600 secondi al giorno. Siamo la foto di copertina di Facebook, le stories di Instagram, le frasi su Twitter, i successi, i sorrisi, la leggerezza brillante sfoggiata sui Social. Non vedo questa cosa come una bugia, o come un tentativo di ingannare gli altri. La vedo, l'ho sempre vista, e credo che sia, un naturale ed umano bisogno di non appesantire il prossimo con i propri problemi, pensieri, paure, preoccupazioni.

Il bisogno di farsi accettare dagli altri, di farsi amare. Dagli altri. 

Sì, io ho bisogno degli altri. Ho bisogno di tante cose. Di essere capito, di essere accettato, di essere apprezzato, di essere amato, di essere considerato, di essere stimato. A volte anche solo di un: "Ciao Luca, tu come stai?" Ma io sono sicuro che capiti anche a voi, anche a chi per i mille motivi che sappiamo indossa la sua corazza e dice di non avere bisogno di niente, e di nessuno. 

Mi manca l'aria. Da qualche anno. Ma come Luca, a te manca l'aria, a te? Sempre così ironico, divertente, brillante, manca l'aria? Eh sì, a me, sì sì, proprio a me. E allora come fai? E come faccio... invento, reagisco, mento. E perché? Perché... perché è necessario... perché è giusto, perché non ho altra scelta. E nemmeno voi.

Non credo sia un problema di età. Io non ho mai vissuto, pensato e ragionato per età, razza, posizione sociale, gusti sessuali. A me interessa l'anima, l'anima di una persona, di una idea. Solo questo.

Non so in cosa credo, ma credo in quella parola un pochino sdolcinata ma efficace che si chiama amore. Amore per una donna, per un uomo, per un figlio, per una canzone, per una chitarra, per un cane, per quell'idea. Sempre lei. Credo nella possibilità di riscattarsi sempre, da una vita di sbagli e di incomprensioni, nella possibilità di cambiare qualcosa ogni giorno, nella propria vita, ed in quella di qualcuno vicino a noi, con un gesto piccolo, una parola, uno sguardo, un silenzio. Credo nella passione che ti fa fare cose stupide, credo nella magìa di un sentimento che sconvolge ogni molecola del tuo corpo ed amplifica i segnali dei tuoi neuroni, credo in un Dio che è ad una profondità sconosciuta, che non chiede di essere pregato, invocato, temuto, ma solo cercato.

Come noi.

Sì Luca... ma qui si parla di Genoa. E allora? Sì, parlo anche di Genoa. Ho esagerato? Non per me. Io non ho compartimenti, ve l'ho già detto. Io vivo tutto, e ripeto tutto, con la stessa intensità. O non lo vivo affatto.

Mi manca l'aria, quella che respiravo in Via XX settembre il sabato pomeriggio di dicembre alle porte del Natale, mentre passeggiavo in mezzo a centinaia di altri ragazzi. Mi manca il Cinema Augustus, le vetrine illuminate di cose belle, i volti della mia generazione, il telefono grigio di casa con i numeri circolari, la mini verde di mio padre, mia madre che preparava la cena quando tornavo dallo Stadio, la mia bicicletta azzurra, il pallone rovinato dall'asfalto del piazzale sotto casa, Fabrizio Gorin con i suoi riccioli biondi che marca Alviero Chiorri, mi manca la mia maglia numero 2 del Genoa, la mia prima chitarra insuonabile, il primo 45 giri che ho comprato, le giornate chiuso in camera con la chitarra a cercare di capire le note di Sultans of Swing, mi mancano i miei sogni idioti, le interviste che mi facevo da solo nel buio della camera preparandomi a diventare una Roskstar, mi mancano i miei compagni del Liceo, le gite a Barcellona, a Vienna, a Londra, mi manca l'idea che tutto sia possibile, distante ed eterno, mi manca il tempo per rimediare agli errori, per recuperare il tempo perso, per dire tutto quello che dovrei dire, per fare tutti gli sbagli che ancora potrei fare. Che dovrei fare.

Mi manca quella Genova, mi manca quel Genoa. O almeno mi manca la loro idea, quella che mi ero fatto, quella che avevo in testa, quella in cui ho creduto. Mi mancano i mondi che sapevo inventare, le storie che sapevo costruire, le bugie in cui potevo credere.

Ma io so, perché l'ho provato sulla mia pelle, che una idea esiste finché una, più persone, o tutti, continuino a credere nella esistenza di quella idea. E viceversa so che quella idea smette di esistere non appena una, più persone o tutti smettano di credere in quella idea.

Quindi io non ho scelta, ma non l'avete nemmeno voi. Se vogliamo, e so che vogliamo, quella Genova, quel Genoa, e quella idea, non ci resta che continuare a crederle, proprio quando tutto sembra volerci far credere che una Genova come quella sia irrealizzabile.

Ed un Genoa come quello non sia possibile.

Invece lo è.

   Luca Canfora


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