Il segreto del gioco del calcio

25.05.2016 12:50 di  Luca Canfora   vedi letture

Pensavo che mio figlio non si sarebbe appassionato a questo gioco, ed a parte seguire il Genoa, cosa che non riesco a non fare, non ho fatto assolutamente nulla per scatenare la sua passione. Infatti fa nuoto, per sua scelta, e felicemente, da due anni. Poi c'è stato Genoa Sassuolo.
Vincevamo 1-0 fino al novantunesimo, quando in modo casuale ed abbastanza fortunoso il Sassuolo pareggia. Mio figlio comincia a smoccolare, il viso improvvisamente distrutto dalla delusione. Mi sono anche abbastanza sorpreso, non dico che fosse indifferente al Genoa, assolutamente no, ma non avevo ancora visto i suoi occhi così disperati, tristi, increduli.
Io, ormai, ci ho fatto altro che il callo. Un pareggio al novantunesimo per me è ormai il minimo sindacale, ho visto ben altro. Insomma, lo guardo, e per tirarlo su, sparo la stronzata del millennio: “Gabry, non piangere, mancano 3 minuti. Battiamo a centrocampo, cross, e facciamo il 2-1”.
Mia moglie mi guarda, siamo seduti in gradinata, con quella faccia da mamma apprensiva, sostanzialmente moglie di un imbecille, ed io colgo nettamente tra i suoi pensieri le seguenti parole: “Luca, ma che xxxxx stai dicendo?”

:-)

Piove, il terreno è molto scivoloso, i calciatori sono tutti fradici. Ho sempre visto molta poesia in tutto questo, come un lottatore nell’arena che lotta non solo contro il carnefice, ma contro tutti gli elementi. Battiamo, palla a Ntcham, cross verticale in profondità verso l’area sotto la Sud.
Pavoletti salta e sfiora la palla, che finisce in rete. Mio figlio impazzisce, e non ha più smesso di impazzire, ogni secondo, ogni minuto, di ogni giorno. Il calcio, il Genoa, sono arrivati a destinazione.
Conosco quella sensazione, e so che non passerà.

In questi giorni ho provato ragionarci su, dal punto di vista antropologico, filosofico, letterario. Cosa ha il calcio che altri sport non hanno? Cos’è che ci appassiona così tanto, che ci fa emozionare così, che ci fa stare male, che ci esalta? Troppo facile liquidare il tutto con le solite frasi: è uno sport volgare per il volgo, è uno sport di basso livello, è uno sport per la massa. Gli americani ci liquidano con sufficienza perché usiamo i piedi invece delle mani, sorridendo della nostra trivialità.

Gli americani??? Vabbè. Insomma, ho cercato di guardare le cose da un altro punto di vista, per capire.

Bene. Il gioco del calcio si gioca all’aperto, e la cosa non è così scontata, basti pensare a quanti altri sport abbiano bisogno di strutture chiuse, meno naturali, ariose, godibili.
Il gioco del calcio si può giocare ovunque, su qualunque superficie, senza nessuna struttura particolare, una rete divisoria, un canestro, un campo disegnato in modo particolare, niente. Basta un pallone, ed uno spicchio di terra, di prato, di asfalto, di aiuola, di qualsiasi tipo.
Anche da solo puoi allenarti, palleggiando, o semplicemente perfezionando la tecnica individuale. Tuttavia è uno sport di squadra, dove le variabili in gioco sono moltissime, le interazioni, gli incastri tecnici, tattici, atletici.

Nel gioco del calcio non hai a disposizione un solo arto, o due, per compiere il gesto sportivo. Nel baseball hai solo una mazza, nel tennis hai la racchetta, oggetti esterni al tuo corpo. Tutto più “impersonale”, passatemi il concetto. Nel basket e nella pallavolo hai solo le mani, e i punti da contare sono tantissimi. Non lo so, troppi punti, troppe esultanze, mi sembrano tolgano pathos alla gioia, che viene per così dire inflazionata nell’arco di una partita. Nel rugby o nel football americano hai ancora le mani, ed in più il corpo, ma anche qui troppi punti, tra l’altro poco localizzabili fisicamente, passare una linea larga 80 metri non lo trovo particolarmente accattivante dal punto di vista visivo od emozionale.
Sia chiaro, lo sport è bello in generale, non sto criticando nessuno sport e nessun atleta, sto solo cercando di capire come mai il calcio abbia questo seguito, tentando di darne una spiegazione.

Se passiamo agli sport singoli, è bellissima ed emozionante la lotta contro il limite umano, la gravità, la velocità, come nel nuoto, nell’atletica, nel motociclismo, nella formula uno, nello sci, dove contano non solo la preparazione tecnica, ma la freddezza, il coraggio, la concentrazione, la serietà. Io seguo Valentino in GP, ho amato alla follia Alberto Tomba nello sci, ho seguito Senna nell’automobilismo, il tennis di McEnroe, la nazionale di pallavolo di Velasco, tutti, tutti.
Ma torniamo al calcio. C’è molta varietà di “colpi”. Puoi segnare di piede, di esterno, di interno, ad effetto, da lontano, da vicino, di tacco, su azione, su punizione, su rigore, ma puoi segnare anche di testa, di petto, di coscia, ed a volte anche di mano. Puoi segnare con tutto.

:-)

Puoi segnare nell’angolo basso, nel sette, a mezza altezza, in rovesciata, e la porta, la porta, ha quel fascino, con quella rete bianca che si gonfia quando la palla entra e fluttua tra le grida collettive delle persone. Perché i gol sono pochi, pochissimi, a volte non ce ne sono. E’ proprio questo che credo piaccia alle persone.


Nessuno può essere felice cento volte al giorno, al mese, nemmeno all’anno. La felicità, per essere vera felicità, per essere essenza, sorpresa, emozione improvvisa, deve essere rara, deve essere impossibile, deve essere inaspettata, quasi irripetibile.
Come un gol, uno ed un solo gol, nel terzo minuto di recupero, sotto la pioggia, in una piovosa giornata di Genova, quando il Genoa ormai sembra non avere più alcuna possibilità di farcela, ed un bambino scopre che si può essere felici con poco, con pochissimo, praticamente niente.

E per sempre.
Per un gol.

  Luca Canfora

 


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