Rino Carlini, rossoblù razza Piave
Nono appuntamento per la nostra rubrica "Momenti di storia", curata per noi dal grande tifoso e appassionato di storia rossoblù Francesco Venturelli, che come sempre ringraziamo.
Buona lettura:
Rino Carlini, rossoblù razza Piave
Un pomeriggio di qualche anno fa in Campetto ho incontrato Rino Carlini con la moglie.
Ci siamo salutati e ci siamo fermati a parlare, ovviamente del Genoa.
Abbiamo discusso del presente, ma non poteva mancare un cenno al passato, quando il giovane Carlini vestiva la maglia numero 5 del Vecchio Grifone e andava in campo col compito di non far toccare palla al centravanti di turno.
Erano tempi di ferrea marcatura a uomo, i terzini sulle ali e lo stopper sul centravanti. Calcio anni ’50.
A far gioco pensavano i mediani e le mezzali, che costituivano il “quadrilatero”, vera ossatura della squadra. La mente pensante era il “regista”, il centrocampista che aveva le qualità per orchestrare il gioco dalla metà campo in su. La squadra dipendeva dal suo regista, che dettava i tempi, i passaggi, inventava gli assist e a volte anche i gol.
Celebre in Italia era Suarez, regista dell’Inter anni ’60 che vinceva Coppe dei Campioni e Intercontinentali: tutto il gioco passava dai suoi piedi. O meglio, dalla sua testa.
Nei lontani anni ’50 si usava dire: “razza Piave”, di quei giocatori che provenivano dal vivaio veneto, che in quel tempo era il più prolifico d’Italia. Il Genoa, sempre alle prese col passivo di bilancio, ne aveva fatto un’infornata puntando a valorizzare i più promettenti.
Rino Carlini era uno di questi.
Professione stopper. Arriva al Genoa nemmeno ventenne e nel giro poco tempo prende la maglia del mitico capitan Cattani a fine carriera, al centro della difesa. Quella maglia Cattani l’aveva portata per dieci anni e Carlini l’avrebbe portata per altri dieci, diventando col tempo anche lui capitano.
Cattani era il tipo di giocatore capace di dare identità alla squadra. Carlini da lui imparò il mestiere e assorbì lo spirito del Genoa.
Fisico robusto e capelli a spazzola, era facilmente individuabile a centro area nei suoi interventi di testa, dove eccelleva. Marcava a uomo e si occupava soprattutto di bloccare l’avversario, e non a fare gioco. Il gioco non partiva dai difensori ma dal quadrilatero, che era deputato a dare solidità alla squadra, proteggendo la difesa e appoggiando l’attacco.
Per anni Carlini, ogni benedetta domenica, doveva dannarsi dietro al centravanti, che spesso era uno dei migliori della squadra avversaria. Mestiere durissimo e ingrato, perché poteva anche non fargli toccare che un solo pallone in 90 minuti, ma se il centravanti lo trasformava in gol, la responsabilità della sconfitta pesava su di lui.
A vent’anni indossò la pesantissima maglia da centromediano del Genoa che era stata del leggendario Burlando, di Battistoni, di Sardelli e di Cattani e la onorò per dieci anni consecutivi, impegnandosi sempre a fondo, silenzioso e concentrato, uomo spogliatoio, fedelissimo del Vecchio Grifo in ogni circostanza.
Nel familiare via vai di Campetto, abbiamo rievocato partite rimaste mitiche nella storia del Genoa, come la rimonta contro l’Inter, il giorno di Natale del 1955 (si giocava a Natale e Capodanno, se capitavano di domenica), quando i nerazzurri a metà del secondo tempo vincevano per 3 a 1, e il Genoa, che attaccava sotto la Nord, con venti minuti incandescenti, spinti dall’urlo Genua! Genua! gridato da 60 mila genoani sugli spalti, ribaltò il risultato e vinse 4 a 3: gol vincente a due minuti dalla fine, sotto una Nord delirante, di capitan Carapellese.
Oppure il celebre 3 a 1 alla Fiorentina, arrivata all’ultima giornata al Ferraris imbattuta e già laureata campione d’Italia, che perdeva l’imbattibilità sul campo del Genoa, dopo essere stata in vantaggio per uno a zero fino a un quarto d’ora dalla fine. Ma il quarto d’ora finale del Genoa sotto la Nord era famoso in tutta Italia. Le squadre avversarie lo sapevano, e cercavano di chiudersi nella loro metà campo, ma non c’era niente da fare. La forza d’urto del Genoa, sotto la spinta del tifo era irresistibile. Spuntavano maglie rossoblù da tutte le parti e gli avversari non ci capivano più niente e andavano nel pallone.
La Fiorentina beccò tre gol in pochi minuti, perse l’imbattibilità e perse la testa, ai giocatori saltarono i nervi, cominciarono a tirare calcioni nelle gambe invece che al pallone, mentre lo stadio era una polveriera.
Bellissimi ricordi. Anche la moglie di Carlini partecipava e dava il suo contributo, dimostrando di conoscere bene la storia del Genoa. ‘Per forza’ - mi disse - sono sempre stata genoana, anche prima di conoscere lui’.
Poi improvvisamente il volto di Carlini si turbò impercettibilmente, come se un’ombra scura lo avesse attraversato. Lo recepii nettamente ma non sapevo cosa dire. Fu lui a spiegare: “Non mi sarei mai aspettato che a fine carriera mi cedessero all’Alessandria – e qui la voce cominciò a tremare - il Genoa era tutto per me – la voce ormai era rotta dalla commozione - … pensavo di chiudere qui la carriera…”
La moglie gli fece una carezza affettuosa, mentre le lacrime facevano la loro comparsa tra le ciglia.
E’ stata l’ultima volta che l’ho visto. Un anno dopo se ne sarebbe andato per sempre.
Che tristezza quando una persona ci lascia portando via con sè una vita di conoscenze e di emozioni. Non lo incontrerò più nel Centro Storico, ma il suo ricordo continuerà a commuovermi ogni volta che penserò a lui.
Rino Carlini, razza Piave, professione stopper, genoano in campo e nella vita.
Una pagina meravigliosa della meravigliosa Storia del Genoa.
Francesco Venturelli
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