Di Genova, di Genoa e di Genoani
E’ un po’ di tempo che non mi faccio sentire, o meglio “scrivere”. Ultimamente sono assorbito dalla mia visione del mondo, che cambia, che certi giorni mi opprime, mi sfianca. Visione che non è così banale da spiegare, e che in effetti sta limitando e modificando la mia comunicazione. Definirla realistica sarebbe presuntuoso, cinica sarebbe ingeneroso, pessimista sarebbe sbagliato, ingenua sarebbe ridicolo, sognatrice sarebbe patetico, razionale sarebbe cinico, ottimista sarebbe sciocco.
Ma in effetti io sono esattamente tutto questo: realista, presuntuoso, cinico, pessimista, ingenuo, sognatore, patetico, razionale, ottimista e sciocco. E la mia visione, tenuta forse in piedi dai puntini di sospensione come un castello di carte, somiglia sempre più ad un miscuglio discutibile di contraddizioni, dubbi, emozioni, a volte talmente in contrasto tra loro che anche a me sembra difficile capire chi sono, cosa provo, e cosa pensare, cosa dire, cosa fare.
Proprio perché do molta importanza alle parole, al tono, al modo, non esiste, o forse non so trovare, una parola idonea. Una sola. Ho migliaia di parole, e congiunzioni, e virgole, e verbi, e aggettivi. E punti, tanti… tantissimi… una marea di ingombranti… dubbiosi… inutili… puntini.
Realista: non credo sia necessario chissà quale ingegno, solo forse un pizzico di onestà. Genova è una città che ha perso le sue industrie, il suo fermento, la sua spinta, in questa difficilissima fase economica e politica, ed ha perso la sua centralità nel triangolo industriale che non esiste più. E’ una città dove il solo porto può ancora costituire il nucleo di rigenerazione di una cellula, insieme alla cultura, ai servizi, al turismo, alla bellezza. O ricostruiamo intorno a questo, o siamo morti.
Presuntuoso: appartengo ad una città gloriosa, la cui storia dice tutto e non ha bisogno delle mie menzioni, me la sento addosso come i blue jeans mentre passeggio in via Garibaldi. Viviamo in una città che amiamo profondamente, ma è una città spigolosa che mette a dura prova la pazienza e la resistenza di chi vuole ripartire, ricostruire, rinascere, in memoria di quello che siamo stati in passato, spesso, sempre. Lo dice la storia, perché non dovremmo esserlo? La presunzione ce la siamo meritata, guadagnata, cucita addosso con i risultati.
Cinico: sì, sono anche un pochino cinico. La vita lo è. Tra chi crede in un Dio, uno qualunque, e chi crede al caos, ci sono io che credo negli uomini. Nella nostra mente, nella nostra intelligenza, capacità di sopravvivere, cambiare, capire, creare, scoprire, inventare, amare, soffrire, piangere, ridere, cadere. Rialzarsi. Ricadere. E rialzarsi ancora. Come credo nella terra, quella che ti “sporca” le mani, nell’acqua che le purifica, nel vento che spazza via i pensieri, nel sangue che li assorbe, nel sorriso di un bambino, nello sguardo di una madre.
Pessimista: in fondo è una scelta temporanea. Ogni tanto ho bisogno di piangermi addosso, senza crederci, è una recita di cui sono sceneggiatore, coreografo, regista, musicista, comparsa ed attore protagonista. Lo faccio per il mio bene, mi serve per disprezzarmi a sufficienza per tornare a credere in me stesso, e nel mondo.
Ingenuo: è una bugia. Ne dico molte, sono necessarie. A me? No, a me stesso dico sempre e solo la verità, è per questo motivo che ho conosciuto la depressione, la malinconia, gli attacchi di panico, l’insicurezza, l’amarezza, lo sconforto, la paura, la frustrazione, la sconfitta. No, le bugie sono necessarie a chi non può permettersi la verità, a chi non può sopportarla, non può accettarla, digerirla, superarla. E sono bravo, davvero, l’ho già detto di essere presuntuoso??? Ah sì, l’ho detto. Ecco, sono bravo, a raccontare agli altri il mondo come dovrebbe essere, come potrebbe essere. Devo ammetterlo. Ma non è altruismo, è egoismo, come al solito. Lo faccio per me. Io non posso essere felice, non più di tanto, sereno, leggero. Io non ci riesco, non è il mio destino. Ma so farlo per gli altri. Lo vedo, lo percepisco, lo sento. Ed allora io lo faccio, e quando vi vedo ridere, vi vedo leggeri, vi “sento” credere a quello che racconto, allora… allora ci credo anche io… allora anche io mi sento meglio. Ecco, sì, per un attimo sorrido anche io, mi sento meno… solo… stanco… perso.
Sognatore: rimango fermamente convinto di riuscire a vedere il decimo scudetto del Genoa, non credo sia necessario aggiungere altri elementi a supporto.
Patetico: una delle mie molte chitarre è stata creata con i colori ufficiali del Genoa, con lo scudetto sul retro ed il mio nome sulla paletta, in previsione di cantare dal vivo le mie canzoni sul Genoa durante la festa che si terrà nei giorni successivi alla vittoria del decimo scudetto del Genoa. Fate voi, e non sarei patetico?
Razionale: sono assolutamente consapevole ed orgoglioso di essere un sognatore patetico.
Ottimista: mi tengono in vita solo i sogni, i progetti, gli obiettivi, che abbiano una percentuale di possibilità di realizzazione tra meno infinito e lo 0,0000001%. Altrimenti mi annoio.
Sciocco: credo in tutto quello che sto scrivendo, sto tenendo per me solo le cose di cui mi vergogno.
Ed il Genoa? Ed i Genoani?
In qualche modo dovremo pure ingannare il tempo prima della festa per la Stella, no? Il Genoa rimane una delle ancore di salvezza di questa nostra vita, nel bene e nel male. Capisco sia una teoria bizzarra, ma ragionateci insieme a me. Che vada bene, o che vada male, quanto riempie le nostre giornate? Sì, oggi ci arrabbiamo, domani piangiamo, dopodomani esultiamo, venerdì crolliamo, sabato ci rialziamo, e domenica sogniamo. Ancora. E ancora. Perché l’uomo ha bisogno di credere in qualcosa, di sperare in qualcosa, di lottare per qualcosa, o contro qualcosa, di sentirsi parte di un percorso, e perfino di soffrire per qualcosa. Soffrire è l’unica strada verso la felicità, il riscatto, l’eternità.
L’essere umano non reagisce, biologicamente, ad uno stesso stimolo ripetuto, ma alla differenza di potenziale tra due stimoli. Tradotto: essere costantemente bersagliato dalla sfortuna, o vivere costantemente baciato dalla fortuna, per quanto possa sembrare grottesco, produce lo stesso risultato, la mancanza di reazione. Inerzia, infelicità. Quello che produce un risultato, anche se in due direzioni opposte, è essere colpito da una sventura dopo essere stato baciato dalla fortuna, o essere baciato dalla fortuna dopo una vita di sventure. Insomma, è la differenza… a fare la differenza. E’ questo che produce le sostanze che ci fanno sentire… vivi.
Io sono grato di provare questo trasporto infantile, tra i tanti, anche per il nostro Genoa. Sono grato di appartenere ad una storia travagliata, ad una sofferenza (sportiva) incomprensibile e duratura, ad una sorte gloriosa ma tuttavia da lungo tempo in decadenza, complicata, in qualche modo osteggiata, da altri uomini, dal destino, dalla fortuna. Sono grato, orgoglioso, e fiero, di appartenere a tutto questo.
Non so se avrò il tempo di vederlo, di provarlo, di assaporarlo, ma ci saranno Genoani, in qualche tempo, in qualche modo, domani, che proveranno una gioia che non avrà paragoni con nessun’altra gioia, una sensazione che scalderà i cuori ed i ricordi per generazioni, che illuminerà i giorni e gli occhi di chi lo vivrà, e di che ne sentirà l’eco da altri tempi, altri spazi, altri anelli.
E quel giorno, che non è lontanissimo, sarà perfetto solo grazie al salto che ci sarà tra il sentirsi come ci siamo sentiti ieri, oggi, e come ci sentiremo domani. Sarà merito di avere vissuto quello che abbiamo vissuto negli ultimi 95, 100, 110 anni. Anni di attesa, di speranza, di sogni, di sofferenza, di delusioni, di cadute.
Sarà perfetto, sarà magico, ma lo sarà solo perché veniamo da tutto questo. Sarà incredibile.
Luca Canfora
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