Momenti di storia: la notte che Meroni fu venduto

26.10.2018 18:07 di  GianPiero Gallotti   vedi letture

Vi proponiamo oggi la seconda puntata della nostra rubrica "Momenti di storia", curata per noi dal grande appassionato rossoblù Francesco Venturelli.

In questo pezzo ci parlerà di una ferita ancora aperta, nonostante il tempo trascorso, nei cuori dei tifosi genoani: quella della cessione di Gigi Meroni, raccontandoci come andarono davvero le cose.

Buona lettura:

 

Era l’estate del ’64. Il Mercato si faceva al Gallia di Milano, a poche decine di metri dalla stazione centrale. Di solito chiudeva alle 23.00 di un giorno intorno al 20 di luglio.

Mi trovavo a Genova con la famiglia. Non ero più un ragazzo ormai, ma nei confronti del Genoa avevo mantenuto un atteggiamento adolescenziale perché “o Zena o l’è o Zena”, dicevano gli anziani di De Ferrari, e niente cambia. Mai. Come se il Genoa vivesse in un alone mitico, fuori dal tempo. E io con lui.

Tuttosport – che a quei tempi compravo tutti i giorni perché aveva sempre ottimi servizi sul Genoa - titolava l’articolo sul Grifone con un indiscutibile: Meroni non si tocca, scritto a caratteri cubitali. Passai la giornata non ricordo come, ero ancora studente, e tornai a casa per la cena alle otto passate.

A quei tempi, tutte le sere alle 20.20 passava alla radio il bollettino sportivo, e io tornavo a casa giusto in tempo per ascoltare eventuali notizie sul Genoa. Quella sera, seduto a tavola in attesa del “primo”, non prestai nessuna attenzione alla sigla della trasmissione, ero distratto per il fatto che intanto sul Genoa non avrebbero dovuto esserci notizie.

Passo al presente. Giusto nel momento che mia madre posa il piatto sul tavolo, sento come prima notizia: Meroni passa dal Genoa al Torino per….. La cifra non riesco nemmeno a sentirla perché sono già in sala d’entrata per uscire a tutta velocità. Mentre scendo le scale facendo i gradini a quattro a quattro sento la voce di mia madre sul pianerottolo che mi chiede: dove vai?
A De Ferrari, rispondo, e sono già sulla strada.

Non ho un’auto, e di aspettare un autobus manco a parlarne. Faccio tutto a piedi, di corsa, e quando da via XXV Aprile scorgo De Ferrari la vedo strapiena di genoani urlanti. Allora è tutto vero, pensai. Fino all’ultimo avevo sperato in un errore. Un Genoa senza Meroni era impensabile.

Avevo già avuto un idolo in età adolescenziale: Abbadie, che nel 1954 avevo visto in tv disputare un Mondiale da favola in Svizzera. E difatti a De Ferrari nessuno ci credeva che sarebbe venuto nel Genoa. Meroni non era Abbadie, non aveva il carisma del fuoriclasse di livello internazionale che aveva l’uruguagio. Ma a Genova lo avevamo visto passare da ragazzino a idolo della tifoseria con la maglia del Genoa! Abbadie era diventato famoso col Penharol, Meroni invece è diventato famoso col Genoa. Lo sentivamo “nostro”. Impossibile immaginarlo con un’altra maglia.

Santos, allenatore argentino dall’occhio clinico, gli lasciava fare in campo quello che voleva. Diceva: lui è il nostro brasiliano e a un brasiliano non si può dire cosa deve fare, perché inventa calcio. Povero Santos. Era in vacanza in Spagna quando gli è arrivata la notizia della vendita di Meroni. Ha voluto mettersi subito in viaggio per Genova. Non sarebbe mai arrivato. La sorte, sotto forma di un grave incidente d’auto, lo ha tolto anzitempo all’affetto dei suoi cari e alla stima dei tifosi rossoblù. E così il Genoa oltre a un grande giocatore, perdeva anche un bravo allenatore.

Meroni era proprio così, come diceva Santos, inventava calcio. Aveva risvegliato nella tifoseria entusiasmi ormai sopiti. Stravedevamo per lui. Eravamo convinti che ci avrebbe fatto vincere il “decimo”. Un ragazzo della Nord si era improvvisato cantante e aveva scritto una canzone su Meroni che si concludeva con la frase: “… e u ne faià mette a stella in sciù Griffun”.

Questo era Meroni per noi genoani da poco usciti dai difficili anni ’50, che si erano conclusi con la retrocessione ignominiosa del 1960. Ultimi in classifica con soli 18 punti in un campionato a 20 squadre, a Natale eravamo già in B. E come non bastasse 28 punti di penalizzazione per un tentativo di corruzione, di cui dieci da scontare in serie B. Non era facile riprendersi da un colpo simile. Meroni ci era apparso come un segno del destino.

A De Ferrari trovo tifosi furibondi. La sede del Genoa, che si trova dal lato opposto del monumento di Garibaldi, viene assediata, ma i presenti non sanno cosa dire. I tifosi chiedono di telefonare a Berrino, vogliono parlare con lui. Ma non è possibile. Un gruppo di tifosi lancia allora una proposta: andiamo a Milano e costringiamo Berrino a strappare il contratto. E saltano su due o tre macchine e partono di gran carriera nella notte, direzione Milano.

Verso le 23.30 dalla sede arriva una notizia: hanno preso Catalano dal Bari. Catalano è un’ottima mezzala, ci sarebbe voluta insieme a Meroni….. Ma non basta a placare l’ira. Poi nei giorni successivi si viene a sapere che il giocatore è rotto, non passa le visite mediche e viene rimandato al mittente.

Verso mezzanotte la piazza comincia a svuotarsi. Io resto con altri perdigiorno, perché non devo alzarmi per andare a lavorare. Per terra c’è un tappeto di “cinghini” di stoffa rosso blù che si usavano per gli orologi da polso, e che i genoani avevano buttato via per sfogare la rabbia. Mi rendo conto che i pochi rimasti sono un po’ “alegerati”, come suol dirsi. E infatti, verso le due di notte, uno dice: so dove abita Berrino, andiamo ad aspettarlo, dovrebbe tornare adesso da Milano. E le intenzioni non erano certo molto pacifiche. 

E dire che poi col tempo si verrà a sapere che l'Inter, sotto pressione di Herrera che voleva Peirò, si è sentita dire dal Torino: volete Peirò? Dateci Meroni. E l'Inter, che da qualche anno aspettava che un Genoa senza una lira le pagasse le cambiali dei giocatori che aveva mandato in rossoblù e che erano serviti alla squadra della Lanterna per tornare in A  sparata, più o meno disse a Berrino: sono anni che aspetto, visto che non hai i soldi, dammi Meroni. E Berrino non poteva fare altro che pagare i debiti con l'Inter - debiti tra l'altro non fatti da lui -  con Meroni.

Io sto ancora un po’ a chiacchierare con questa gente, poi li saluto e mi avvio verso casa a piedi. Questa volta camminando lentamente, di dormire proprio non ne ho voglia.

Alle quattro passo dalla panetteria del quartiere dove lavora un amico che sta già preparando la focaccia. Aspetto che la focaccia esca dal forno e mi prendo il classico etto di ordinanza. Alle cinque sono dall'edicola di un amico nel mio quartiere.. Il camioncino di Tuttosport, come tutte le mattine, ha lasciato il pacco di giornali sul marciapiede. Sfilo una coppia e leggo le notizie fresche di stampa. Poi la rimetto a posto e vado a casa. Ma non riesco a dormire.

La vendita di Meroni mi ha cambiato come tifoso. Mi ha fatto uscire dall’adolescenza sognante per entrare nel mondo del calcio reale. Magari era anche l’ora. Mille pensieri mi passano per la testa, poi il pensiero estremo: basta col calcio. E con questa possibilità da mettere in pratica fin dal giorno dopo finalmente, quando ormai è giorno, mi addormento.

Ma il giorno dopo ci ripenso: ho detto basta col calcio, belin, mica basta col Genoa!

Perché “o Zena o l’è o Zena”.

E il resto mancia.

 

Francesco Venturelli

 

 


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