31 dicembre 1988 - Il capodanno più bello della storia

01.01.2021 15:53 di Luca Canfora   vedi letture

Sono sempre stato un gran bugiardo. Mi piace dire di esserne costretto, per non ferire le persone, per evitare discussioni, per omettere eventi irrilevanti che porterebbero inutili conflitti.

Forse c'è dell'altro. La verità è dolorosa, la realtà è noiosa. Ho bisogno di colorare tutto come piace a me. Come i bambini.

Era il 31 dicembre del 1988. Appena compiuti i 19 anni, fidanzato da ormai 4 anni, giocatore della Rivarolese, squadra della Val Polcevera in cui andai dopo dieci anni passati nel Genoa sognando chissà cosa, e scappato via da terzino destro per andare a fare il centrocampista. Così, un pomeriggio di settembre, mi recai al PIO XIX a chiedere al Genoa di farmi fare il numero 10, dopo 10 anni da numero 2. Alla risposta negativa uscii insultando tutti, e sbattendo la porta. Finì così la mia avventura rossoblu, con mio padre che non mi parlò per qualche giorno. Settimana.

Ogni tanto lo ricordo a me stesso, e lo dico a voi che mi sopravvalutate. Sono rimasto un simpatico coglione.

Bene, quel 31 dicembre del 1988 avrei dovuto passarlo con la mia fidanzata. Non ricordo se in casa di lei con i genitori, o con la sua amica e rispettivo fidanzato. Di certo mi sentivo già sposato, troppo fidanzato, e troppo sposato, per un ragazzo di 19 anni taciturno e timido, ma che sotto la cenere era pieno di sogni, desideri, necessità, libertà.

Cominciai così a combattere con i miei sensi di colpa, nel non riuscire ad essere quello che gli altri si aspettano da me, nel non riuscire a ricambiare l'affetto ricevuto, le attenzioni, la fiducia. Tre dei miei amici della Rivarolese avevano un piano intrigante per quel fine d'anno, ed io avevo tanto bisogno di essere... immaturo... stupido... leggero... libero.

Raccontai alla mia fidanzata che avrei dovuto passare l'ultimo dell'anno con i miei genitori, dai miei nonni. Era una ragazza dolcissima, mi credette. Mi sentivo la più grande merda sulla faccia del Pianeta. Anzi... lo ero. Non c'erano telefonini per controllare ora per ora quello che avrei fatto, ed io e gli altri 3 avventurieri prendemmo un treno per Torino intorno alle ore 18 del 31 dicembre 1988. Direzione una fantomatica ed immaginifica festa che si sarebbe dovuta tenere in casa di un ipotetico amico di uno dei deficienti con cui avevamo preso il treno.

Partimmo così, con la nostra giovinezza sulle spalle, con i miei sensi di colpa, attenuati dalla goliardia e dal rumore delle stupidaggini che dicevamo, in cerca di avventura, misteri, mondi da scoprire. 

Il treno era vuoto. Del resto era quasi l'ora di cena dell'ultimo giorno dell'anno. Tra schiamazzi e battute di infimo livello ci ritroviamo in una Torino deserta ben dopo le 21, alla ricerca della mitica ed irripetibile festa. Ma arrivati a destinazione, l'amara sorpresa. La festa è stata spostata nella casa di montagna, precisamente Bardonecchia, un centinaio di chilometri da Torino al confine con la Francia, nota località sciistica fin da quando mio padre mi faceva alzare alle 3 e mezza del mattino per andare a sciare lì, in treno, per tornare a casa la sera stessa.

I 4 allegri deficienti diciannovenni di pessime speranze, ritornano quindi in Stazione alla ricerca, il 31 dicembre del 1988 intorno alle ore 22, di un treno che ci teletrasporti da Torino a Bardonecchia in un tempo... "ragionevole". Il tempo fu talmente ragionevole che festeggeremo la mezzanotte in un triste vagone del locale Torino-Bardonecchia completamente vuoto insieme al Capotreno dello stesso treno. La bottiglia che avevamo portato da Genova, forse la avevamo rubata, non lo ricordo, echeggiava nel silenzio del vagone vuoto del treno vuoto del Piemonte vuoto dei cervelli vuoti di 4 giocatori senza speranza della mitica Rivarolese.

Tra ritardi dovuti alla serata particolare, neve, sbagli vari nel cercare questa meravigliosa e misteriosa festa, scendemmo dal treno in una località poco prima di Bardonecchia, di cui non ricordo il nome, intorno alle 2.30 del Primo Gennaio 1989. Buon anno. Il posto somigliava alla Capanne di Marcarolo, alla stessa ora, dello stesso giorno, tradotto: buio pesto, silenzio assoluto, strade deserte, tipo film di Dario Argento poco prima dell'arrivo del serial killer. 

Ricordo che telefonammo con il telefono a gettoni della Stazione per farci venire a prendere da qualcuno, ma non rispondeva nessuno. Intorno alle 3 decidemmo per la soluzione più drastica, a piedi sul bordo della strada, in fila indiana, nel buio e nel silenzio più assoluto, ridendo come dei coglioni. 

Giuro, lo giuro su quello che volete, è la verità. Passò una auto, una sola, qualcuno mise il pollice fuori. L'auto si fermò, era una donna. Una donna sola, sorridente, sui trent'anni, trentacinque, che ci prese tutti in auto. Tutti. Io salii davanti, gli altri dietro. Ero troppo ingenuo per chiedermi se non avesse paura, pensavo che non ci fosse alcun motivo di avere paura di noi. Eravamo solo 4 deficienti di 19 anni. Ora non ricordo come fosse questa ragazza, sinceramente, era buio, ero stanco, ma ancora oggi mi chiedo come avesse potuto fermarsi alle 3 e mezza del mattino a prendere quattro ragazzi maschi lungo una strada senza nemmeno un lampione e portarli per 5 km sulla sua auto.

Arrivammo alla festa. Erano ormai le 4,  e quasi tutti stavano andando via. Ricordo gli sguardi incuriositi, le facce stanche, l'ultima fetta di panettone, l'imbarazzo, le risate.

Dopo una oretta la festa era già definitivamente conclusa. Ci diedero una stanza per farci riposare, ci sdraiammo tutti e 4 per terra, tra risate, stanchezza, fame, leggerezza. Dormimmo 2-3 ore, perché verso le 8 c'era il solo treno per Torino per poter rientrare a Genova nel pomeriggio.

Altre 6 ore di treno, tra viaggi, cambi, attese, e verso le 15.30 arrivai a casa. Il tempo di cambiarmi, darmi una lavata, ed andare dalla mia fidanzata, fingendo di avere passato l'ultimo dell'anno più noioso della mia vita.

Ricordo ancora quella serata come uno dei momenti più dolci, leggeri, emozionanti, della mia vita. Non accadde nulla, eppure accadde tutto ciò che serve per essere felici.

Per un momento.

Buon 2021 a chi lo merita.

Io non lo merito, sono un bugiardo, ma in fondo faccio sorridere gli altri.

   Luca Canfora


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